Teatro - 14 Feb 2021

La Storia aneddotica delle Giàccure stritte, la parola ai protagonisti (parte II)

Intervengono gli attori della Compagnia diretta dal regista ed autore Mimino Perrone. “Testimonianze” di Francesco Bosco, Paola Innocente, Chiara Morciano, Maurizio Tarantini (detto Romulicchiu), Ilaria Giannotta, Gabriella Maci, Luigi Palazzo, Patrizia Dell’Anna, Daniele Maci e Mimino De Matteis


Spazio Aperto Salento

Con la pubblicazione della seconda parte delle “testimonianze” degli attori della Compagnia, si completa l’intero ciclo di interventi dedicato alla storia aneddotica delle Giaccure stritte.

Sono state pubblicate complessivamente sei parti riguardanti il lungo e proficuo percorso artistico del gruppo teatrale salicese e, con questa di oggi, due parti dedicate ai protagonisti che hanno animato i palchi allestiti in numerosi Comuni del Salento.

Una coinvolgente avventura che ha conosciuto tanti momenti belli, ma anche qualche delusione e, soprattutto, alcune incancellabili e dolorose “ferite”.

Negli anni la Compagnia è cresciuta ed è maturata facendo tesoro di tutto: di ogni peculiarità delle singole tappe artistiche, degli apprezzamenti del pubblico, di qualche piccolo “passo falso”, ma anche e soprattutto degli esempi e degli insegnamenti di coloro che solo fisicamente non ci sono più.

Ecco, di seguito, gli interventi di oggi firmati dagli attori delle Giaccure Stritte: Francesco Bosco, Paola Innocente, Chiara Morciano, Maurizio Tarantini (Detto Romulicchiu), Ilaria Giannotta, Gabriella Maci, Luigi Palazzo, Patrizia Dell’Anna, Daniele Maci e Mimino De  Matteis.

Francesco Bosco

(Ha preso parte alle seguenti commedie: Matrimonio in Giallo – Gemelli si Nasce – La Pampanella – Due Scapoli e Una Bionda – Trappola per Topi – Lisistrata – Il Servitore di due Padroni)

La mia esperienza con le Giàccure stritte cominciò nel 2002 quando, dopo la messa in scena di una commedia musicale al Liceo, fui contattato da Mimino per il tramite di Silvia Scalpello, mia compagna di palco in quella rappresentazione e già allora giovane Giàccura.

Non avevo ancora compiuto diciotto anni, eppure già da qualche anno mi ero avvicinato al mondo del teatro amatoriale ed avevo conosciuto molti di quelli che erano o sarebbero poi diventati componenti della compagnia. L’interesse per il teatro, naturalmente, mi aveva già portato a seguire le commedie allestite fino ad allora a Salice dalle Giàccure Stritte. Ricordo che rimanevo ammirato davanti alle rappresentazioni e percepivo distintamente quella particolare alchimia che consentiva loro di provocare gran divertimento nel pubblico. Assistendo alla comunione di energia che si determinava tra le persone sul palco e quelle in platea, non potevo far altro che fantasticare di riuscire a condividere prima o poi quella magia.

Colsi, quindi, con grande entusiasmo l’occasione che mi venne proposta e cominciai a frequentare le prime prove dello spettacolo Ciccillo, servitore di due padroni, immergendomi in quell’esperienza con tanta curiosità ed allo stesso tempo quasi con deferenza.

Ricordo con affetto molti aspetti di quei primi tempi con la compagnia: l’accoglienza coinvolgente che mi fu dedicata per superare la mia timidezza, l’attenzione alla costruzione degli spettacoli nel corso delle prove, i confronti con Walter che era solito accompagnarmi prima che mi patentassi, gli aperitivi che precedevano le prove a casa di Antonio e Rosy, l’emozione provata per la condivisione del primo palco con quella che per me rappresentava già una realtà storica del nostro paese.

Il primo anno in Compagnia fu intenso e segnato da diversi aneddoti. Uno dei primi che ricordi risale a quando, durante una delle ultime prove prima dell’esordio, Anna (che rivestiva il ruolo di Sabella De Bonis, sotto le mentite spoglie del fratello Ferdinando) si presentò in scena rivelando già alle prime battute la sua vera identità, che invece doveva rimanere nascosta fino alla fine della commedia, suscitando grande ilarità tra i compagni, non senza una malcelata preoccupazione per il timore che potesse ripetere la gaffe durante lo spettacolo.

Dopo quella prima stagione, ci salutammo temporaneamente con la compagnia, per poi ritrovarci nel 2008 quando fui richiamato per una sostituzione in Matrimonio in Giallo, proprio in occasione dello spettacolo fatto a San Pietro Vernotico in commemorazione di Salvatore e Walter Scalpello. Una serata molto emozionante per la compagnia ed il pubblico, alla quale fui molto contento di partecipare per aver avuto modo di rendere omaggio alla memoria degli amici scomparsi.

Qualche tempo dopo, sempre con l’occasione di una sostituzione questa volta in Gemelli si nasce, ebbi la possibilità di tornare in compagnia per rimanerci stavolta in pianta stabile fino ad oggi.

Rispetto alla prima esperienza nel 2002, tante cose sono cambiate, molti componenti si sono avvicendati, però le Giàccure Stritte continuano a conservare i tratti peculiari della loro storia, gli stessi che incontrai per la prima volta quasi vent’anni fa. La forza trainante della compagnia risiede sempre nella volontà di un gruppo di amici che si mette insieme per fare qualcosa che li appassiona.

Come qualunque gruppo sociale, anche le Giàccure, hanno attraversato nel loro percorso momenti caratterizzati da diversi stati d’animo: dal grande entusiasmo per gli allestimenti più riusciti, allo scoramento per quelli più dibattuti, dal divertimento per le situazioni comiche venutesi a determinare durante spettacoli e prove, all’insofferenza per i periodi di prove più stressanti. Spesso ci si è ritrovati a condividere unanimemente gli indirizzi della compagnia, altre volte ci sono stati dissensi ed anche forti contrasti.

All’esito di tutto, però, rimane ancora immutata l’identità di una compagnia che continua a volersi divertire e migliorare, ed all’interno della quale ciascuno con il suo profilo umano arricchisce l’altro ed apporta un contributo distinto e specifico al gruppo, concorrendo alla sua crescita in ogni assemblea, prova e spettacolo. Un piccolo condensato di umanità che ambisce a dare il suo contributo per la promozione del teatro a livello amatoriale, condividendo con passione tanto le tavole dei palcoscenici, quanto quelle dei “capocanale”.

Paola Innocente

(Ha preso parte alle seguenti commedie:  Liolà – Gemelli si Nasce – La Pampanella – Trappola per Topi – Lisistrata)

La mia esperienza con il Teatro delle Giàccure Stritte ebbe inizio in una calda estate, su un palco di Leverano, in occasione di una rassegna estiva. Un passaggio velocissimo da spettatrice a componente-attrice che quella sera avvenne in maniera rocambolesca per coprire l’assenza imprevista di Anna (nella commedia La Pampanella), una delle storiche attrici della compagnia.

Grazie alla complicità che si era venuta a creare con tutti gli attori già durante le prove, ma anche grazie al supporto di un gruppo molto affiatato, solido e strutturato riuscii ad esibirmi alla meno peggio. Si trattò del mio battesimo del palco ma sopratutto dell’ingresso ufficiale nella famiglia delle “Giaccure Stritte”.

Da quel momento ho intrapreso la mia esperienza di attrice nella Compagnia interpretando la divertente Moscardina nello spettacolo di Pirandello: Liola, la Signorina Casillo in Trappola per topi di Agata Christie ed infine altre apparizioni in Lisistrata ed altri interventi minori (Gemelli si nasce in sostituzione di Chiara).

Così sono trascorsi quasi dieci bellissimi anni, tra palchi e backstage in giro per il Salento. Non posso nascondere che ancora oggi salendo sul palco è come se fosse la prima volta: le farfalle nello stomaco, il fiato corto e la voce strozzata ad ogni esibizione.

Alla fine di tutto, però, condividere questa esperienza, mi dà un fortissimo senso di appagamento. Ansie e timori passano velocemente in secondo piano, ed ogni volta, scaricata la tensione, il piacere di aver recitato insieme a questo straordinario gruppo di persone mi porta a rifare tutto ancora ed ancora.

Chiara Morciano 

(Ha preso parte alle seguenti commedie:  Liolà – Trappola per Topi – Lisistrata – Gemelli si Nasce)

“Spoiler Alert”: sarò un po’ stucchevole. Non posso farne a meno, a più di mille km e qualche anno di distanza da quello che sto per raccontare. Ho un debito di riconoscenza verso Luigi Palazzo. Anzi, due. È stato grazie a lui se, nel lontano 2012, mi sono iscritta a un laboratorio teatrale a Squinzano e ho conosciuto Mimino. Lo spettacolo di fine laboratorio era Lisistrata e questo mi fa pensare che a volte la vita trova modi curiosi di ammiccare e darci qualche indizio su quello che sarà il futuro, perché, molti anni dopo, mi sarei ritrovata sul palco, a fianco delle Giàccure, a dare una nuova forma a quello stesso spettacolo. Ma questo, appunto, sarebbe venuto molti anni dopo.

Prima di tutto questo, c’è stata una ragazzina che di tanto in tanto andava a vedere gli spettacoli in piazza delle Giàccure e, come tutti in platea, subiva la fascinazione dell’energia frizzante e gioiosa che soffiava da quel gruppo. Si percepiva correre tra tutti un nonsoche di misterioso e invisibile, che rendeva ogni personaggio unico e insostituibile anche fuori dalla scena.

Quando Mimino mi chiese di entrare a far parte della nuova produzione, Liolà, mi sentii, nell’ordine, inadeguata ed emozionata. Aveva pensato per me al ruolo di una delle “colombelle” di Liolà e sebbene si trattasse di una parte meno corposa di quella di altri personaggi, avvertivo la responsabilità e la difficoltà di dover entrare in punta di piedi in un gruppo che aveva ai miei occhi caratteristiche mitiche.

Conoscevo già Franco, al quale mi legava un’altra storia teatrale e un grande affetto sin dai tempi del liceo, Gabriella (stessa altra storia teatrale di Franco) e naturalmente Luigi e Mimino. Tutti gli altri erano territorio sconosciuto.

La produzione di Liolà, lo ha detto efficacemente Mimino, è stata un duro banco di prova per la compagnia, un tentativo di dare all’idea di commedia coltivata dalla compagnia una profondità e uno spessore diversi. Ricordo momenti, durante le prove, in cui questa consapevolezza rendeva gli sguardi più seri, le ripetizioni più tese. Eppure, con chiarezza ancora maggiore, ricordo l’orchestra perfetta che ognuna di quelle persone componeva, un meccanismo ben oliato fondato sulla fiducia nei ruoli e nelle capacità uniche di ognuno.

Mi accompagnarono alla prima con sostegno indimenticabile. Da quel momento quella sensazione non mi ha mai più lasciata, a ogni replica. Non so se sono in grado di descriverla. Parlo della sensazione di esser parte di qualcosa, del percepire l’idea rivoluzionaria che il successo di uno sul palco passi per la riuscita di tutti, e viceversa.

Può sembrare una versione stucchevole e fasulla di una realtà ben più mite, ma non è così. Se una sensazione potesse essere un gesto, questa sarebbe un abbraccio. E non tutti sono capaci di abbracciarti con fiducia l’attimo prima di affrontare una prova.

Nel tempo anche il mio ruolo in “Liolà” è cambiato. Sara partì per l’università e Mimino mi chiese di prendere il suo posto nei panni di Tuzza. Ho amato quel ruolo e l’energia selvaggia e trattenuta che mi portava. Ho amato anche di più essere in scena con Anna, nel ruolo di Comare Croce. Di replica in replica, me le ha suonate con una intensità interpretativa e un trasporto che ancora mi rimandano qualche brivido.

Lo spettacolo è stata una delle tante scommesse vinte della Compagnia, ma i miei ricordi più difficili da affrontare ora che sono lontana riguardano ciò che il pubblico non ha mai visto. Il silenzio assorto durante la scena della serenata di Liolà (Luigi) a Mita (Rosy) sbirciata da dietro una quinta. Il luccichio nello sguardo di Franco dopo la scena delle “mazzate“ tra me e Anna e il suo abbraccio. Il momento del trucco con Lucia. Le sigarette e la fretta di Mimino prima di andare in scena. Le risate durante una presentazione di ‘Pirandello”, una commedia di Liolà. I paninari, i “verlaine”, i “per quanti devo prenotare allora?” urlati durante lo “smontaggio” di scene e luci.

Dopo questo spettacolo mi fu chiesto di sostituire Loredana (in partenza per Milano) nel ruolo di Molly in Trappola per topi. Il cast non comprendeva tutta la compagnia, eppure, di prova in prova, avvertivo la presenza di tutti dietro di me a ripararmi dal rischio (molto concreto!) di una caduta. In quell’occasione recitai con Francesco per la prima volta di molte. La sua bravura rendeva tutto facile e bello e divertente. È un privilegio sperimentare la sensazione di esser veri anche nella finzione, ed è un dono inestimabile se a porgertelo è il tuo compagno di scena.

Ancora oggi, quando parte “In the mood” di Glenn Miller io torno nel teatro di San Pietro, dietro le quinte, travolta insieme a tutti i miei compagni di scena da uno swing silenzioso e sfrenato l’attimo prima di entrare in scena.

Mentre scrivo mi sembra ingiusto che nel parlare di “tutti” io non dia nome e volto a ognuna delle Giàccure che mi ha offerto qualcosa. La verità è che per ognuno ho un ricordo insostituibile e sono tutti, davvero tutti, ricordi sorridenti. Ma avrei bisogno di molto più tempo e spazio per dire a tutti quel che meritano.

Se parlassi di un idillio ininterrotto, capireste che non sto raccontando una storia vera, perché nella vita vissuta le persone litigano, si feriscono, sbagliano e commettono imprudenze e così è stato sicuramente anche nella lunga storia delle Giàccure. Ci sono stati scossoni, terremoti, separazioni che hanno reso l’aria talvolta irrespirabile, ma questo non dice nulla sull’unicità di questa Compagnia. Lo fa, invece, una capacità che accomuna tutto il gruppo, a partire dai fondatori, fino ai membri più giovani: quella di resistere e raccogliersi intorno al nocciolo duro di un principio e rifiorire, ogni volta, a partire da lì. Parlo della capacità di tendere la mano e realizzare qualcosa che è più grande del singolo e che dal singolo, però, non vuol prescindere.

Anche per questo spero che presto il teatro torni nelle nostre vite. Le Giàccure hanno ancora tanto da raccontarci.

Maurizio Tarantini (detto Romulicchiu)

(Ha preso parte alle seguenti commedie: Lu Senatore – L’Anima te lu zi’ Ciccillu – La Terra li caccia e lu Jentu li Mmintuna – Il Servitore di due padroni – La Pampanella)

Lo dico subito che sono molto orgoglioso di aver fatto parte della compagnia delle Giàccure Stritte. Vi racconto in breve la mia storia all’interno del gruppo. Per la verità all’inizio ero un po’ titubante di farne parte a causa della mia difficoltà a leggere da solo i copioni delle commedie, ma grazie all’aiuto degli altri componenti, in particolare dell’amico Walter, alla fine mi sono convinto ad entrare in questa nuova famiglia di amici, fino ad affezionarmi perché lo stare con loro era un gran divertimento.

Sono stati anni belli, abbiamo trascorso tante serate a provare e tra una scena e l’altra, ridevamo soprattutto per i nostri errori.

Ricordo ancora l’adrenalina che avevo addosso prima di esibirmi davanti al pubblico, ma poi era proprio il pubblico a darmi la carica e la sicurezza.

Ho interpretato vari personaggi ma quelli ai quali sono più legato, per le caratterizzazioni che sono riuscito a farne, sono senza dubbio Piumalvento nella commedia Il Servitore di due Padroni e Pissu Uardapassu ne La Pampanella (Quiddru ca se fuma la chiai!).

Purtroppo dopo alcuni anni, per mia scelta e con molta amarezza, ho dovuto lasciare la compagnia continuando però a seguirli ogni qualvolta si esibivano.

Per scrivere tutto quello che ho vissuto con le Giàccure non basterebbe un libro intero, ma voglio ricordare un episodio: una sera d’estate di tanti anni fa avevamo organizzato una serata a Cavallino per andare tutti insieme a mangiare una pizza. Ci ritrovammo presso il parco giochi di Salice per organizzarci con le macchine ad andare alla pizzeria e, per uno spiacevole malinteso, mi lasciarono lì con la mia famiglia. Peccato che la pizzeria era lontana “solo” 30 km ed io avevo difficoltà a guidare di sera. Così io, mia moglie e i miei figli ce ne tornammo a casa e ce ne andammo a letto!

Concludo ringraziando tutti i componenti della Compagnia ed in particolar modo il regista Mimino Perrone.

Ilaria Giannotta

(Ha preso parte alle seguenti commedie: Il Servitore di due padroni – La Pampanella – Liolà – Gemelli si Nasce – Te la Cuntu e te la Cantu – Lisistrata)

Io in teatro ci sono nata. Non letteralmente, anche se certamente sarebbe stato un evento peculiare; no, uso quest’accezione poiché quando ero piccolissima sgambettavo sul palcoscenico prima e dopo uno spettacolo delle Giàccure quando i miei zii mi portavano con loro; mi sentivo fiera e segretamente orgogliosa di essere così vicina ad una realtà che allora era così innovativa per il paese (si parla degli anni ‘90, le compagnie teatrali amatoriali erano poche).

Ricordo che da bambina mi piaceva passare i pomeriggi a consumare le vhs sulle quali erano state registrate le repliche degli spettacoli, le avevo tutte ovviamente: Lu senatore, La terra li caccia e lu jentu li mmintuna, ma il mio preferito era All’anima dellu zi Ciccillu.

Lo adoravo e allo stesso tempo, sentivo un brivido lungo la schiena al momento della seduta spiritica e della rivelazione del fantasma sulle note della colonna sonora di “2001: Odissea nello spazio”.

Crescendo, pian piano capii che però non mi divertiva solo l’idea di assistere agli spettacoli e impararli tutti a memoria, volevo anch’io mascherarmi, vestire una nuova pelle e diventare qualcun altro per la durata di due o tre atti.

Così, in una sera del 2003, per la prima volta salii sul palco del teatro Don Bosco di San Pietro Vernotico iniziando così la mia carriera da “mini Giàccura”. Io, Michela, Marco, Sara, Margherita, Mattia e Gioconda entrammo in scena tutti insieme e, attraversando l’arco che separava due mondi, compimmo quell’ancestrale rito di iniziazione nascendo finalmente sulla scena.

Ad assistere al nostro “battesimo del palco” vi era un teatro gremito, volti su volti illuminati fiocamente dalla luce che, puntata sulla scena, di rimando colpiva anche loro. Ricordo bene l’emozione, l’adrenalina che aumentava nonostante si trattasse solo due o tre battute corali sul finale della commedia.

Il nostro ingresso era un colpo di scena e noi, orgogliosi nei nostri piccoli costumi tutti uguali (eravamo Ciccilluzzi, i figli di Ciccillo), eravamo impazienti di mostrare quanto ci era stato insegnato durante le prove, alla pari di un gioco.

Dopo quella sera, replica dopo replica, noi bambini seguimmo la compagnia come parte integrante di essa e ad ogni replica, ci ingegnavamo a trovare nuovi modi per irrompere in scena e assomigliare sempre più a dei veri attori.

Con nostro sommo orgoglio, scoprimmo poi che eravamo stati “scritturati” anche per la commedia successiva La Pampanella. Anche qui, io e gli altri bambini, eravamo quel tocco in più che dava movimento alla scena; questa volta eravamo più grandicelli e ci muovevamo sul palco con più disinvoltura, grati per la fiducia che ci era stata accordata.

A volte nascevano imprevisti, dimenticavamo gli oggetti di scena ed eravamo costretti ad improvvisare lì per lì, ma quelli erano i momenti più divertenti, in cui potevamo sbizzarrirci e dar voce alle nostre idee, crescere come individui e far crescere con noi i nostri piccoli personaggi rendendoli tridimensionali.

Anno dopo anno, spettacolo dopo spettacolo ho collezionato più di vent’anni di memorie “teatrali” e aneddoti vari e mi auguro di poter continuare ad aggiungere a questa collezione altri ricordi negli anni a venire. 

Gabriella Maci

(Ha preso parte alle seguenti commedie:  Liolà – Trappola per Topi – Lisistrata)

Cominciamo col dire che fare teatro per me risponde a un sano bisogno egoistico: faccio teatro perché mi fa bene e lo faccio praticamente da sempre. Per lo più, nel mio lavoro scolastico, guido gli studenti ad avvicinarsi al teatro perché anch’essi godano di quei benefici che ne traggo io stessa.

Sono da sempre convinta che il teatro a scuola sia la chiave pedagogica più efficace per un’educazione sana che parta dalla conoscenza di sé, dalla costruzione di un buon rapporto col proprio corpo, per arrivare, come normale conseguenza, a una chiara e pacifica comunicazione con gli altri. Il tutto condito da una metodologia ludica che sicuramente rende tutto più piacevole. Perciò da moltissimi anni mi occupo di scrittura, di laboratori, di regia, attività che, per lo più, hanno a che fare con il “dietro le quinte”.

Poi, qualche anno fa, l’amico Franco Verdesca, uno di quegli amici che ti ritrovi accanto perché qualcuno te l’ha fatto incontrare per il tuo bene, se ne viene con una delle sue proposte: “Che ne dici di recitare?”. E lì ti si apre un mondo. Eh sì, perché una cosa è fare teatro dietro le quinte, un’altra è salire sul palco e guardare in faccia il pubblico. Avevo già recitato qualche pezzo, ma da ferma, dietro un leggio sul quale poter scaricare la mia tensione. Ma camminare sul palco, muovere le gambe, le braccia, mi sembrava davvero una cosa difficilissima!

Ma, ditemi voi, si può dire di no a Franco? E una sera arrivai nel famoso, per me nuovo, Centro polifunzionale, a Salice e lì trovai una Compagnia teatrale, intenta a provare Liolà di Luigi Pirandello, cioè una cosa seria, con attori veri, un regista vero.

Io, che da sempre mi ero improvvisata sceneggiatrice, regista, scenografa, tuttofare nei laboratori teatrali; io, che avevo dovuto inventarmi modi a costi zero per ricavare fantasiosi allestimenti e portare i miei studenti a recitare nei luoghi più improbabili; io ero di fronte ad una compagnia strutturata, di professionisti!

Sì, perché la differenza tra una compagnia amatoriale e una di professionisti per me è minima: l’amore, la passione, la dedizione, il rispetto per il testo e per il pubblico sono gli stessi, se non maggiori in persone che, oltre a fare i registi, gli attori, gli scenografi, i costumisti, svolgono anche altri lavori e hanno altri impegni con cui devono conciliare il teatro.

Lì conobbi Mimino Perrone, professionista serio, che Salice giustamente ama e apprezza per le sue doti di autore/regista/attore/scenografo e pastor gregis delle Giàccure Stritte.

Lì incontrai attori bravissimi, come Rosy, per di più eccellente disegnatrice degli abiti di Liolà, Antonio, Francesco, Lucia, Paola; e mi sentivo veramente inadatta a stare con loro sullo stesso palco. Di fronte alle performance di alcuni loro – mi riferisco, per esempio, a quella di Antonio in Gemelli si nasce o a quella di Francesco Bosco in Servitore di due padroni – davvero mi chiedo perché i loro nomi non siano sui cartelloni dei maggiori teatri italiani.

Per non parlare dello stesso Franco, di Ilaria, di Chiara, di Gabriele o di Anna, solo per citarne alcuni. Tra le Giàccure ho ritrovato Luigi, mio studente al Liceo, dove avevo avuto l’onore di iniziarlo al teatro. Sì, ma quanti progressi da allora! Attore profondo e sensibile, ma anche regista, poeta, insomma artista a 360°.

Dalle Giàccure è stata iniziata al teatro anche mia figlia Bosena che, circondata dall’affetto e dal sostegno di tutte le Giàccure, ha imparato a calcare anche lei le scene e ad amare quel fantastico mondo.

I miei primi passi – forse anche i più recenti – sono stati impacciati, rigidi, goffi, niente a che vedere con la scioltezza e la naturalezza dei miei amici. Ricordo ancora il primo commento di Mimino alla prima battuta da me pronunciata alla prima prova: “l’intonazione va bene ma dobbiamo muoverci meglio”. Giustissimo ma è stato un bagno di umiltà: io che avevo sempre spiegato come occupare lo spazio del palco, come vincere la paura del pubblico, dovevo fare i conti con la pratica.

E il bello del teatro è anche questo: rinnovarsi ogni giorno, sbagliare e imparare ogni volta, essere disposti a cambiare e a migliorarsi, rinascere sempre a ogni prova.

Se tutto questo, poi, accade insieme alle Giàccure, allora non può che essere un’avventura meravigliosa: con loro provi, riprovi, tenti, ritenti e provi ancora, ma poi ridi, ridi, ridi tanto perché hai intorno persone Libere, leali, oneste senza pregiudizi.

E se proprio non si trova un giorno per provare, se una battuta non esce come dice il regista, che ogni momento ci urla dietro “Mparatibbe la parte”, se siamo stonati, se Lucia recita col chewingum in bocca, se Luigi arriva tardi o Anna dimentica una battuta, beh, non importa, si può sempre sedere tutti intorno a una tavola a parlarne e ridere, ridere, ridere insieme.

Luigi Palazzo

(Ha preso parte alle seguenti commedie: Matrimonio in Giallo – La Pampanella – La Grazia – Trappola per Topi – Il Servitore di due Padroni – Te la cunto e te la cantu)

Il luccichio delle “Giàccure” e le scarpe di Totò. Quindici (quasi sedici) anni fa ho cominciato un percorso che sarebbe diventato una parte importante della mia vita, della mia crescita personale.

Qualche anno prima, da liceale, avevo scoperto il fascino irresistibile del Teatro, nella sua forma più autentica, nel suo essere luogo di scoperta di se stesso e dell’altro, di socializzazione, di lavoro di squadra, oltre che di fucina culturale e di insegnamento di testi di grandi autori. Mi ero divertito su L’uomo incinto di Dario Fo e Franca Rame, a sghignazzare nei panni di Zi’ Dima ne La Giara di Pirandello, a tentare maldestramente di cantare e accennare qualche passettino come Don Silvestro nella commedia musicale di Garinei e Giovannini Aggiungi un posto a tavola (in tutto ciò c’era lo zampino che ha lasciato bene il segno di Gabriella Maci, che avrei ritrovato nelle Giàccure).

Poi dei progetti per la Città del Libro con il mio caro amico Riccardo Quarta e poi… Poi arrivò una chiamata: “Luigi stiamo preparando uno sketch per la Parrocchia, ti va di darci una mano?” Era Franco Verdesca (chi mi conosce sa già quanto devo a quest’uomo!).

Insieme a noi due, Antonio Leuzzi e (in un altro sketch per l’occasione) Salvatore D’Amone, Giuseppe Verdesca e Walter Scalpello.

Walter, come tutti in paese, lo conoscevo da anni (anche se non avevo avuto mai l’occasione di frequentarlo da vicino) e da anni per me, come per tutti, rappresentava un vulcano in eruzione di battute, giovialità, sorrisi sinceri. Lo conoscevo e lo apprezzavo, da esterno e, da esterno, lui e la Compagnia delle Giàccure stritte erano una realtà sbrilluccicante fatta di amicizia, condivisione, divertimento.

La luce e l’energia che emanava quel gruppo di persone erano reali e, seppure in una occasione estemporanea, mi ci ero potuto avvicinare. Grazie anche allo spirito di quel gruppo (ne faceva parte anche Rosy Pierri) potei condividere per la prima volta il palco con un pezzo della Compagnia. L’esperienza fu veramente piacevole.

Di lì a poco, Franco (sempre lui) mi richiamò: “Stiamo preparando una nuova commedia e uno dei componenti non potrà farne parte: ti va di provarci?” (più o meno le parole furono queste). E da lì cominciò un viaggio meraviglioso, veramente.

Tutti i componenti della Compagnia furono da subito generosi e disponibili con me, nuovo arrivato, timidissimo e imbarazzatissimo per avere davanti quella realtà sbrilluccicante che qualche anno prima ammiravo da sotto il palco.

E da lì in avanti sarebbero stati mesi, anni di caricaggio – montaggio – recitaggio – smontaggio – scaricaggio – e spesso e volentieri – mangiaggio dopo lo spettacolo.

Mesi, anni di condivisione di emozioni, scazzi, battute davanti e dietro le quinte. Di progetti realizzati, di idee strampalate, di gaffe inenarrabili, di sorprese spiazzanti.

In quella prima occasione vestii i panni di Arturo in Matrimonio in Giallo, un infido coiffeur che provava biecamente a conquistare una donna sposata. Poi sarei stato l’innamorato Gigino ne La Grazia, il traditore Cornelio in Gemelli si nasce, la maschera dialettale Ninu Ungulòne nel capolavoro di Mimino, La Pampanella. E poi ancora Liolà nell’omonima commedia di Pirandello, l’Ispettore Trotti nel giallo di Agatha Christie Trappola per topi, l’austero ed esaltato nobile don Nicola Lomuscio di Bitritto ne Il Servitore di due padroni. Ma nulla è come le prime volte e i ricordi che si fissano in tali occasioni sono quelli più nitidi.

Nell’allestimento dei costumi per l’esordio in Matrimonio in giallo, ci accorgemmo che non avevo delle scarpe idonee alla commedia e alla sua ambientazione. Serviva qualcosa di neutro e, soprattutto, classico.

Il problema fu presto risolto da Mario Scalpello: “Hai il numero di scarpe di mio padre, provatene un paio!”. E mi portò a casa Scalpello, nel mondo che era stato di Salvatore, (Totò, che non avevo mai avuto il piacere di conoscere di persona). Mi aprì il suo armadio e tirò fuori un paio di scarpe nere. Le scarpe di Totò Scalpello!

Mario non ci badò granché, né, immagino, gli altri della compagnia. Ma per me – che tendo sempre un po’ a “romanticheggiare” – fu il segnale di accoglienza in quella grande famiglia, oltre che uno sprone a fare bene. Le indossai in quella e tutte le occasioni successive e per anni quelle scarpe mi avrebbero accompagnato sul palco, in tutte le commedie in cui potessi indossarle.

Grazie a Mimino, guida caparbia e determinata, sempre ispirato e dalla passione indomita. Grazie ai compagni di viaggio di ieri e di domani. Grazie Rosario per lo spazio che ci concedi. Ad maiora amici miei!

Patrizia Dell’Anna

(Ha preso parte alle seguenti commedie:  Giulietta e Romeo – Cavalleria Rusticana – La Traviata – La Furtuna –Lu Senatore – L’Anima te lu zi’ Ciccillu – La Grazia – Rose Rosse per te – Lisistrata)

Come mi ritrovo a far parte delle Giàccure Stritte? Tutto ha inizio nel 1991, per gioco, per occupare le serate. La nostra prima recita Giulietta e Romeo. La rappresentammo il 31 gennaio a casa di Totò Scalpello. Nessuno di noi immaginava che ci sarebbe stato un seguito. Le serate in cui ci vedevamo per le prove erano di puro divertimento, risate a non finire; spesso si improvvisavano gag che erano fuori copione e naturalmente venivano poi inserite nel testo. Era bellissimo riunirsi e non vedevo l’ora che arrivasse la sera per incontrarci.

Come ho già detto non pensavamo che il pubblico sarebbe stato entusiasta di noi e nessuno di noi immaginava che ci sarebbero stati dei risvolti tristi, la perdita di Totò e di Walter, i due Amici colonne della compagnia

Con grande rammarico, per motivi di lavoro, ho dovuto interrompere la mia collaborazione con le Giàccure per un po’ di anni e sinceramente mi è mancato moltissimo tutto: recitare, gli amici e il divertimento. Con grande piacere sono rientrata nella compagnia dopo diversi anni e ho ritrovato gli amici di sempre Anna, Mimino, Antonio, Rosy e con altrettanto piacere ne ho trovati di nuovi Lucia, Gabriella, Franco, Paola, Ilaria, Loredana, Gabriele, Francesco, Luigi, Alessandro, Massimo.

Ricordo che nel periodo di carnevale rappresentammo la parodia della Cavalleria Rusticana, scritta naturalmente dal nostro regista Mimino Perrone, e io interpretavo Santuzza la moglie di Turiddu. Dovevamo cantare dal vivo ma, siccome “simu stunati” come dice di Mimino Perrone, cantammo in playback.

Fu un successo, tutti bravissimi: Totò, Anna, Anna Rita Leuzzi, Tonino Scalpello. Con Tonino poi, nella commedia La Furtuna interpretammo li chiangimuerti e, sinceramente, fu tutta un’improvvisazione perché Tonino (e un po’ anche io!), non ricordava le battute, ma riuscimmo comunque a cavarcela.

Una sera d’estate recitammo a Lendinuso la commedia All’anima te lu zi Ciccillu dove io interpretavo Cummare Nina La Pauta, moglie dell’appuntato dei carabinieri, dovevo recitarla in barese ma mi uscivano cadenze inesistenti; ad un certo punto della commedia Walter improvvisò una delle sue battute (Lui era famoso per le sue improvvisazioni!) e venni colta da una risata irrefrenabile che coinvolse attori e pubblico, non riuscivo più a smetterla fino a quando Totò mi guardò con uno sguardo severo che mi intimava di smettere. Vi confesso che smettere di ridere fu molto difficile. E il pubblico applaudì tanto.

Ho tanti ricordi che custodisco gelosamente nella mente e nel cuore. La cosa bella è che lo spirito e l’entusiasmo iniziale esiste ancora in tutti noi. L’ansia che si ha prima di andare sul palco è tale da togliere il respiro ti sembra di non ricordare niente ma una volta in scena esplode l’adrenalina e si va avanti come un treno e il dopo ti dà un senso di appagamento.

Daniele Maci

(Ha preso parte alle seguenti commedie: Trappola per topi – La Grazia –  Lisistrata)

Ho avuto la fortuna di avvicinarmi al Teatro delle Giàccure Stritte interpretando una parte in Trappola per topi, tratto dal giallo Tre topolini ciechi di Agatha Christie. Proseguendo, attraverso le ore e i giorni passati in loro compagnia, ho scoperto un lato teatrale del tutto nuovo e fresco, in cui la parola “Gruppo” ha un’enorme importanza. Commedia dopo commedia, piangendo e ridendo, calcavamo i palcoscenici, divertendoci e superando ogni avversità.

Nonostante questo periodo abbastanza buio, il Teatro delle Giàccure Stritte continua a prosperare, attraverso i ricordi e la nostalgia, nutrito di quel sentimento di appartenenza che neanche la distanza e il tempo riescono a distruggere.

Esattamente come una nave che salpa verso il mare, il grandioso capitano Mimino Perrone ci guidava attraverso le avversità e le tempeste, sempre con divertimento e gioia nel portare in scena personaggi sempre diversi.

Ogni componente del gruppo ha sempre donato qualcosa in più (e te pare picca?!) e abbiamo sempre imparato a mettere in dubbio e discussione noi stessi, anche attraverso i personaggi che interpretavamo: poteva capitare che in una replica dovessimo interpretare lo scaltro e astuto Liolà, mentre quella sera stessa bisognava interpretare uno sciocco e rimbambito ubriacone, passando tra ruoli comici e drammatici in continuazione.

Io ora vivo e lavoro a Milano… se c’è qualcosa che mi manca terribilmente è l’attività teatrale che mi lega alla mia terra natìa, è quello l’unico ricordo che possiedo e custodisco con gelosia e profonda nostalgia. Non il mare, le feste, né il sole, né il vento… ma gli amici che, ora più che mai, ricordo tutti legati tramite un fil rouge nella mia mente.

Torneremo, prima o poi, e sarà come se non ce ne fossimo mai andati. Col sorriso sulle labbra e la morte del cuore, lo spettacolo continua, è il mestiere dell’attore!

Mimino De  Matteis

(Ha preso parte alle seguenti commedie: Lu Senatore – La Grazia – Ciccillo Servitore di due Padroni – La Pampanella)

Descrivere cosa mi ha lasciato l’esperienza con la compagnia delle Giaccure Stritte?… Ehhh!!! Non è che riesci a dirlo in poche righe: l’emozione provata sul palco, la paura di non ricordarti le battute, il tocca a me – no, tocca a te, il cambio d’abiti e la fretta di farsi trovare pronto, il montaggio, lo smontaggio delle scene e le battute fuori copione.

Tutto ciò che appartiene a quell’esperienza mi ha lasciato bellissimi ricordi; le tante battute che nascevano durante le prove come quella famosa delle Ddo lire!!! (mentre dovevo interpretare della piccola Cozzapilusa), e lo sbellicarsi dalle risate perché cambiai improvvisamente il tono della voce perché non riuscivo a dirla come il nostro regista Mimino mi suggeriva.

Mi vengono alla mente inoltre le battute improvvisate del nostro Walter durante la preparazione della Pampanella insieme a Maurizio e Antonio. Ricordi questi che mi fanno stare bene.

Auguro alla Compagnia di poter ricominciare presto a calcare le scene non solo perché sono bravi, ma anche perché portano tanta allegria e di questi tempi è l’unica cura veramente efficace!

a cura di Mimino Perrone

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Foto in Alto: Le Giaccure Stritte

 

Leggi gli articoli precedenti sulla Storia delle Giaccure stritte:

Parte prima – Gli esordi

Parte seconda –  Inizia l’avventura in giro per il Salento 

Parte terza – Dalla rinascita all’addio di Walter

Parte quarta –  Dalla commedia dell’arte a Pirandello

Parte quinta – Da Agatha Christie ad Aristofane

Parte sesta – Dal Memorial in ricordo di  Walter al Lockdown

la Parola ai Protagonisti (parte I)